Sant’Isidoro di Siviglia fa derivare il termine campana da “campanum” il bronzo prodotto in Campania, a Nola, per cui la leggenda ne attribuì l’invenzione a S. Paolino, vescovo di quella città. Ma sicuramente le campane erano già in uso in Cina nei secoli precedenti la nascita di Cristo. Presto invalse l’uso di decorare le campane con iscrizioni, figure di santi ed altri ornamenti.
Papa Stefano II, nel secolo VIII, fece costruire a S. Pietro una torre con tre campane affinché il loro suono potesse diffondersi per tutta la città. Le torri furono le antenate dei campanili che col tempo si costruirono vicini o addossati alle cattedrali o alle chiese.
Nel IX secolo parecchie famiglie, anche itineranti, svolgevano il mestiere di fonditori di campane; oggi rimangono solo pochi professionisti appassionati, difficilmente rintracciabili anche sulla rete Internet.
La mostra, prendendo lo spunto di ampliare le nostre conoscenze sulla tecnica di fabbricazione delle campane, espone una notevole ricerca storica e documentale riguardante le campane ed i campanili delle varie località che costituiscono il comune di Lentate sul Seveso, il tutto integrato con fotografie di alto valore documentale oltreché di notevole pregio tecnico.
E’ un oggetto, ma forse è già riduttivo definirlo in tale modo, di cui facciamo sicuramente uso ogni giorno ed un utilizzo così frequente ci fa dimenticare la sua importanza.
Cosa sarebbe la nostra vita quotidiana senza la sedia? Come si potrebbero svolgere molte nostre attività senza un posto dove sedersi? E la nostra vita sociale, senza un posto dove fare accomodare amici e conoscenti?
La mostra intende fare conoscere il percorso che, partendo dal ruvido asse di legno, porta spesso alla realizzazione di autentici capolavori. E su questo percorso incontriamo diverse figure professionali, abili artigiani che, ciascuno per la sua parte, concorrono all’esecuzione del lavoro: l’assemblatore, il tornitore, il “tupista”, il traforatore, l’intagliatore ed altri ancora. Un gruppo coordinato che ci permette di fruire di un “oggetto” indispensabile, la sedia.
Diverse sono le ragioni che spingono Stillitano a produrre poco negli anni ‘90. Egli preferisce stare alla finestra a guardare le tendenze e le mode che passano. L’artista non può aderirvi perché è attento a misurarsi con la riflessione e la centralità dell’uomo.
Sono le ultime opere in ordine cronologico, quelle in cui l’artista sviscera documenti figurativi e di memoria che rimandano all’infanzia quando il circo era uno dei suoi pochi diversivi.
Gli anni ‘70 segnano un momento importante nella sua formazione artistica, quando a Roma è allievo presso l’Accademia di Belle Arti di P. Fazzini; sono questi, anni d’intensa attività artistica orientati più verso la scultura.
Opere come “Icaro”, sono sviluppate intorno agli anni ‘80 e segnano una tappa importante, perché la ricerca si orienta in direzione del colore e dei tratti che in taluni casi, pur diversi, egli concede alle singole parti.
Il mondo mediterraneo che appare nei suoi soggetti viene evocato attraverso la solarità, che affiora come reperto archeologico, integro nel suo essere presenza e storia.